Archivi categoria: Poesia

Solo l’arancio

Solo l’arancio appare con palpiti di cuore lì dove solitario
scompare il sole nella sofferta indifferenza delle cose Il giorno
trascorse angusto e come pula al vento sortirono le ore sperse e
turbate sullo sfondo singolare d’una sorte accidentale La rotta
a vista poco più in là del pennoncello lasciava libero campo alla
penombra che saturò le stanze e gli angoli e non ci fu verso di
mutare quella congiuntura se non per barbagli accesi al lampo
dello sguardo contrariato Lungo l’intero giorno un rumore di fondo
– motivo conduttore dei miei pensieri intisichiti e stretti tra caos e
intelletto – ammoniva che non ci è dato ripetere la prova e uno solo
è il punto per cui sortimmo al mondo.
(Serra Clara, Di Bronzo E Fiamma, Genesi Editrice-p.40)

Oggi 21 marzo: viva la poesia

T’ho partorito fanciullo e amante
Io donna di fuoco e carne
Ho inscritto nel tuo ventre molle
e piatto muschio denso e vorace
vertigini d’altezze e innevati picchi
di desiderio ho creato geometrie
di colori inesistenti ho bevuto
umori e sapori alla tua pelle

T’ho partorito fanciullo e amante
mio gioco e mio diletto
e non eri che desiderio
confine e limite di me a me stessa
sfinimento di pensieri

(Clara Serra, Mi chiamavi la mia grande, Passione Scrittore 21.03.2024 p.32)

Per gli innamorati

Oggi, 14 febbraio.

  IX

  Dipano un filo lungo tant’anni filo ritorto filo d’oscuro
  nitore latente del cuore che brama e
  rinarra nel tempo nel libro intessuto di sogni
  e splendori. Una coperta grande colorata per
  l’uomo che ho amato coperta magica fatata
  che ritorna più di quello che hai dato coperta
  di fili d’argento e d’oro per il principe che m’ha voluta
  signora per un giorno del favoloso regno del Mahi.

Quadro n.9

Novella Shahrazād, se  vuoi, ti racconterò di me donna  che
infiniti fili hanno intessuto della mia pelle d’albicocca che si
stende in pianure e valli in monti anfratti e promontori ti
narrerò dello sguardo che t’ha avvinto nel sortilegio incantato 
mentre ti perdevi nell’iride verdazzurra del mare su cui
posano ciglia di velluto e ti dirò del fianco snello e sodo la
curva perfetta della schiena che digrada e s’avvalla liscia e
sinuosa  sensibili articolazioni d’una tastiera che tu sai
suonare – ti dici maestro e  precettore –  e le mani sorelle
gemelle? Così fini articolate flessibili così docili e arrendevoli
due colombe candide e un po’ maldestre tiravano i tuoi baci
come sorrisi. Potrei continuare l’inventario e sul banco
mostrare cosce forti e tenaci seni audaci e acerbi un collo
d’avorio e … Mio uomo impastato d’acqua e d’argilla! Dietro il
paravento delle ciglia dove s’affrettano leggeri i miei pensieri
non guardi i bagliori di fuochi e accampamenti non curi le mie
avanguardie – tu Signore del Regno. Ora che dormi ti narrerò
di me donna che nel chiuso delle viscere intesso fili d’oro e
d’argento e conservo il fuoco dono degli dei. Di vita e di
morte ti parlerò, del sangue rosso che cola lungo le cosce, di
incursioni e occupazioni di una carne che s’accresce dentro il
buio oceano dell’universo.

(Serra Clara, Trama e Ordito, Manni editore, marzo 2007 p. 24-25)

Solo l’arancio

Solo l’arancio appare con palpiti di cuore lì dove solitario

scompare il sole nella sofferta indifferenza delle cose Il giorno

trascorse angusto e come pula al vento sortirono le ore sperse e

turbate sullo sfondo singolare d’una sorte accidentale La rotta

a vista poco più in là del pennoncello lasciava libero campo alla

penombra che saturò le stanze e gli angoli e non ci fu verso di

mutare quella congiuntura se non per barbagli accesi al lampo

dello sguardo contrariato Lungo l’intero giorno un rumore di fondo

– motivo conduttore dei miei pensieri intisichiti e stretti tra caos e

intelletto – ammoniva che non ci è dato ripetere la prova e uno solo

è il punto per cui sortimmo al mondo.

(Clara Serra, Di Bronzo E Fiamma, Genesi Editrice, 2010- p.40)

S’è disfatta la corolla…

S'è disfatta la corolla...

S’è disfatta la corolla della docile petunia
brandelli di pioggia soffocano la gola 
aureolata della bocca di leone fiorita 
nell’azzurro che dura al culmine del cielo

La mia mano ha una sua sapienza se si posa
farfalla delicata sullo scempio consumato e
cerca dove il danno ha recato maggior dolore
con una mansuetudine strana e inconsueta

Sorseggio lentamente gocce d’aria inumidita 
ristorano la lingua riarsa e nella gola portano
un respiro fluido che fa piangere i miei occhi
senza una ragione plausibile 

Pietà per chi spezza il ramo più basso e passa 
oltre il docile albero che si piega e acconsente
Pietà per chi non crea universi e non ha un posto 
dove ricoverarsi né un lume per illuminare la notte
Per me - io rammendo petali sinistrati con punti 
invisibili - nascosti e al sicuro tra le costole rotte.
 
( In Serra Clara, Paesaggi dell’anima, Raineri Vivaldelli Editore 2017, pag.35)

Paesaggi dell’anima

Il giardino si sveglia quieto nel mattino
Che conserva l’umido della rugiada della notte
I miei passi esitanti sul tappeto dorato delle foglie
Trovano i sensi vigili e accorti

Procedo lenta e turbata nella cattedrale solenne
Degli alberi dove il silenzio della preghiera acquista
Accenti profondi e dimenticati e i tonfi gravi delle
Castagne rendono testimonianza – che lì agisce il caso
Quel grano di libertà che ci riguarda

So che il giardino ha confini certi e stabiliti che
Non ci è dato oltrepassare la soglia che non sia
Nel sonno quando i sensi s’allentano e danno inizio
Alla sedizione dei sogni

Di questi me ne resta solo qualche brandello di
Rutilante bellezza visionaria una finestra aperta
Sui paesaggi dell’anima numinosa quegli oscuri
Recessi che dimentichiamo

Mi lascio piano piano coprire dalla coltre delle foglie
Sempre più fitte e copiose in questo mattino aurorale
Si disfa il contorno della carne si liquefa la pelle
Come cera e mette a nudo le viscere dove senza onore
Dimora la poesia – quel ronin accattone e miserabile
Che mi divora.

Serra Clara, Paesaggi dell’anima, Raineri Vivaldelli, Torino 2017

Carmen Yànẽz

Nata a Santiago del Cile, Carmen Yànẽz nel 1975 finisce nelle mani della polizia politica di Pinochet, restando in clandestinità fino al 1982, quando finalmente si rifugia in esilio in Svezia, dove comincia a pubblicare le sue poesie.
Temi ricorrenti nella sua poesia sono la memoria e l’attenzione alla quotidianità.

Latitudine dei sogni
Una se ne sta tranquilla
in un alberghetto di Saint-Maló
la costa smeraldo di antichi corsari
davanti al mare, insomma, esposta.
E di colpo batte il Pacifico splendido
la brezza alimentata di eucalipti
sulla riva di un ricordo indelebile
dove albergò la piccola felicità
che regge le vertebre della vita.
Dove si conserva il mare che ci apparterrà per sempre?
In quale organo si occulta dopo tanti viaggi?
In quale viscera ulula la bestia dei ricordi?
L’infanzia che sgorga tra le onde
dalla finestra di un esilio che incessantemente ci avvolge
con le sue piccole mani ora.
Sassolini che raccoglievo con tutto quello che trovavo
nelle piccole tasche rotte:
una se ne sta tranquilla
a camminare sulla sabbia,
ma le scarpe rallentano col loro peso.
Tanta vita camminata!
Anche se i piedi vogliono staccarsi da terra
confondersi con il blu.
E in fondo uno sa
che tutto è illusione
il qui e là nel corpo.
L’unica verità è il dolore
il taglio fastidioso
che ha fatto il filo di un ciottolo nella scarpa sinistra,
il tallone ferito che impedisce talora di avanzare
che va e viene
come l’onda che morde
malgrado la sua bellezza implacabile.

E la parola?
Sottile trasparenza.
Specchi dell’acqua
in cui si riflette il bosco
e si ripete la fortezza.
Acque profonde
in cui si moltiplicano gli arcani.

Non voglio il verbo
che strangoli la bellezza
nella bocca del lupo.
Voglio la parola
che scivoli per caverne terrestri
verso il palpito.

Pioggerella d’estate

Qui
la desolazione dai capelli verdi
sparge il suo silenzio
di rugiada
e sul bordo dell’abisso
danza con i suoi veli d’acqua.
Cade, senza lamenti,
come se un dio silenzioso
piangesse.

Orbayu de verano

Aquí
la desolación de pelo verde
esparce su silencio
de rocío
y al borde del abismo
danza con sus velos de agua.
Cae, sin gemidos,
como si un dios callado
llorara.

Da Latitudine dei sogni – Guanda 2013

Anna de Noailles

Anna de Noailles ( Parigi 15 novembre 1876 – Parigi 30 aprile 1933)   è stata poeta e romanziere francese di origine romena. Visse in un ambiente colto e raffinato e fin da giovanissima dimostrò grande interesse per le arti manifestando precoci doti ed attitudini. Nel 1897 sposò Mathieu de Noailles, quarto figlio del settimo duca di Noailles
All’inizio del XX secolo il suo salotto accoglieva l’élite intellettuale, letteraria e artistica dell’epoca.
Nel 1904 insieme ad altre signore Anna de Noailles creò il premio «Vie Heureuse», appoggiato all’omonima rivista, che divenne negli anni 1920 il Prix Femina, riconoscimento alla migliore opera francese in prosa o in poesia, come contraltare femminile (nella giuria) del Prix Goncourt.
Fu la prima donna accolta alla Académie royale de langue et de littérature françaises de Belgique.
A lei si sono ispirati grandi scrittori come Proust, che l’ha descritta nel personaggio di Madame de Réveillion in Jean Santeuil: “ la giovane sposa era una poetessa di diciannove anni che sulla “Reveu des Deux Mondes” aveva recentemente pubblicato dei versi magnifici. La sua figura, i lineamenti, gli occhi erano perpetuamente animati da un fascino così intenso che nemmeno per un attimo ci si chiedeva che cosa in lei fosse più o meno bene tanto si rimaneva sedotti dalla sua personalità, dall’originalità che si trovava in ogni suo lineamento”. Continua a leggere

Le cose – Fernando Pessoa

Perchè le cose fanno ala al mio passaggio?
Temo di attraversarle, così fermamente coscienti.
Temo di lasciarle alle mie spalle a togliersi la maschera.

Ma ci sono sempre cose dietro di me.
Sento la loro assenza d’occhi che mi fissa e rabbrividisco.
Senza muoversi le pareti mi vibrano significati.
Parlano con me senza voce da dirmi le sedie.
Hanno vita i disegni della tovaglia, ciascuno è un abisso. Continua a leggere

Luglio

Luglio

Luglio dagli occhi grandi che si beve il sole è il ragazzo
attaccato alle mammelle del tempo – voracità sì piena e
inconsapevole che tu da molto tempo non conosci Posa
l’assolato pomeriggio sui gradini assonnati d’una chiesa
assurta a cifra e segno che qualcosa è successo se la polvere
porta impronte eterogenee e confuse che inutilmente provi
a decifrare Trascorre il vento riguardoso e mite sullo spartito
aereo del fogliame ed una voce sembra una cantilena che detta
al cuore note antiche di dolore Sporge un volto dalle nebbie
del ricordo sì nitido e chiaro che ti morde la carne come belva
e non sai come custodirti

Ritratta dentro l’ombra amica e discreta spartisco di questo tempo
franto e dimezzato il pane e vino che ho conservato – così poca cosa
certo come si conviene a chi mai ne fece scorta o incetta ruvida e rapace

Luglio dagli occhi grandi che si beve il sole e l’astro tinge di rosso a
occidente la linea curva e decisa dell’ultimo orizzonte.

da  Di bronzo e fiamma- Genesi 2010